In un confessionale del “Grande Fratello Vip”, Massimiliano Varrese ha condiviso un episodio doloroso che ha lasciato un segno indelebile nella sua vita. Durante la sedicesima puntata del reality show, il conduttore Alfonso Signorini ha dato spazio alla storia personale di Varrese, concentrandosi non solo sulla sua carriera ma anche su un tragico evento familiare che l’ha profondamente colpito: l’omicidio dello zio, una figura molto importante per lui.

L’omicidio dello zio: un legame interrotto

Varrese ha rivelato che lui e lo zio erano cresciuti insieme e avevano un rapporto molto stretto. Il dramma si è consumato quando lo zio è stato ucciso mentre lavorava come buttafuori in una discoteca. Questa perdita ha avuto un impatto devastante su Massimiliano, che si è sentito in colpa per non aver mantenuto una promessa fatta allo zio di lavorare per lui, offrendogli un’alternativa alla pericolosa attività notturna.

Il senso di colpa e la distruzione di una vita

“Mi sono fatto carico di un senso di colpa più grosso di me per l’omicidio di mio zio. È successo nel periodo in cui ho avuto più successo. Mio zio era il mio idolo, ho passato l’infanzia con lui. All’epoca aveva l’età che ho io adesso e un bambino di 5 anni, e allora gli ho detto: ‘Zio, facciamo una bella cosa. Non andare più in discoteca, vieni a lavorare per me, ti pago io i 100 euro della serata’. Poi non ho mantenuto questa promessa, non so perché. Pochi mesi dopo mi arriva la telefonata dell’omicidio di mio zio in discoteca, stava facendo il buttafuori, e da lì è cambiato tutto. A causa di questo senso di colpa ho distrutto tante cose e iniziato un percorso di grande sofferenza, autopunizione. Ho cominciato a perdere i contratti, ho distrutto la mia vita, la mia carriera. Dopo tutti questi anni, è ora che torni a riprendermi l’affetto, l’amore”, ha detto Varrese, esprimendo il profondo rimorso che ha segnato il suo percorso di vita.

La ricerca di redenzione e il ritorno all’amore

Chiamato nella Mystery Room del programma, Varrese ha continuato il suo racconto:
“È stato un lungo percorso, i primi anni nemmeno me ne sono reso conto. Ho un po’ associato il mio successo. All’epoca mi stavo trasferendo a Los Angeles in una delle agenzie più grosse di Hollywood, poi non ho più voluto saperne nulla per un paio di anni… In quel periodo ho vissuto in campagna senza cellulare con il mio cane. Ogni tanto andavo a trovare i miei a casa loro. Ho sentito vicino i miei due amici di infanzia, Checco e Lorenzo, però lì ho scoperto che le cose disastrose della vita, quelle che non possiamo controllare, ci insegnano delle grandi cose. Noi abbiamo sempre una scelta: soccombere a determinate situazioni dolorose o crescere. Attraverso le mie sofferenze ho capito che avevo forse un dono, una missione: poter regalare anche agli altri la capacità di sognare. Ho realizzato tanto dai miei sogni. Visto che avevo distrutto quello di lavorare a Hollywood, ho deciso poi di insegnare ai ragazzi in un’Accademia la voglia di tornare a sognare. Credo che oggi ai giovani manchi il coraggio di sudare per arrivare alla meta”.

La notte dell’omicidio: un presagio inquietante

Varrese si è aperto anche sulla notte dell’omicidio, descrivendo un’esperienza premonitrice che lo ha scosso: “Mi sono svegliato alla stessa ora con dei dolori lancinanti al petto. Ancora ricordo la stanza d’albergo in cui alloggiavo, i suoi colori e odori… La mattina alle 6:00 arriva la telefonata da mio padre e io gli dico: ‘Hanno ucciso zio Massimo, vero?’ Me lo sentivo. Ho avuto come delle visioni, una sensazione forte. Da quando sono piccolo ho questi sentori importanti, ma l’ho sempre tenuto per me. Quella volta però era più intensa. Da quel giorno ho chiamato la mia ex agente, chiedendole un sostegno, ma lei mi ha liquidato dicendo che aveva da fare e ha chiuso il telefono. Quel click ne ha fatto scattare un altro nella mia testa e nulla è stato come prima”.

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